Il peccato nella lettera ai romani
Abstract
In quest’articolo l’autore si occupa della concezione paolina del peccato nella lettera ai Romani. Il tema del peccato è un fattore essenziale della teologia paolina in generale e solamente nella totalità del suo pensiero teologico è possibile fino a un certo punto comprendere pure la sua concezione del peccato.
Partendo dall’analisi concettuale dei termini adoperati per la realtà del peccato e dalla loro contestualizzazione, nel pensiero paolino il peccato viene dimostrato come un dato sopraindi-viduale e come una sfera del potere che trascende e precede agli atti peccaminosi individuali, ma che viene concretizzata e confermata da essi e che è storicamente attiva per il loro tramite. Tutto il discorso del peccato Paolo lo colloca nel contesto soteriologico, cioè cerca di offrire l’opera redentiva di Cristo sullo sfondo oscuro della sottomissione umana al peccato.
Nella lettera ai Romani Paolo tre volte esplica il peccato come una forza e potenza, come una realtà sopraindividuale e soprasommata che ha un’attività e un significato universali e cosmici. Prima di tutto lo fa da una prospettiva tipicamente giudaica (1,18 – 3,20), poi dalla prospettiva del legame tipologico fra Adamo e Cristo (5,12ss) ed infine dalla prospettiva antropologica (7,14-25). Con l’analisi di questi testi è possibile entrare nella logica paolina del discorso sul peccato.
Nel primo testo Paolo parla della peccaminosità universale dell’umanità, però tale discorso sta nel servizio della sua intenzione di parlare della giustificazione di Dio in Cristo. Se non ci sono delle eccezioni riguardo all’ira divina, non ci sono neanche riguardo alla giustificazione divina. Nel secondo testo egli vuole dimostrare la differenza qualitativa tra lo stato dell’umanità prima e dopo di Cristo, più esattamente con/senza di Cristo. Qui ili suo discorso del peccato è mitologico, però limitato dalla verità razionale che non esiste un peccato senza la decisione personale. Nell’alternativa tra la responsabilità perso-nale e la neccessità del destino, Paolo opta per la responsabilità personale. Nel terzo testo, proprio dalla prospettiva della responsabilità personale, Paolo mette in rilievo la perversione e la peccaminosità del peccare. All’uomo è donata la libertà, però egli la perde proprio lì ove pare di servirsene. Questo corto circuito è osservabile con la distinzione tra l’uomo come progetto di Dio e l’uomo storico che si è allontanato da esso.
Nella conclusione dell’articolo l’autore constata che lo squardo fondamentale di Paolo sul peccato stia nel fatto che egli non nega il peccato nell’evento della salvezza escatologica, ma lo prende seriosamente in tutta la sua gravità e cerca di superarlo. La salvezza non accade, come è chiaro dall’evento di Cristo, accanto al peccato, ma proprio per il tramite del peccato.